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Pubblicato in Proiezioni. Rivista di Cultura scolastica e professionale Anno I n. 4-5 luglio-ottobre 1995, pp. 33-36.

 

Oltre l'esotico: educazione multiculturale e antirazzista
Note critiche dal dibattito britannico

 

..la forza argomentativa di questo nuovo discorso [il razzismo differenzialista] si basa sui luoghi comuni [...] Il reale antropologico è ridotto all'immediatamente percepibile, e in particolare al più visibile [...]. Questa realtà differenziale immediata, con la vivacità di ciò che salta agli occhi costituisce la roccia sulla quale è costruito l'imponente edificio del neo razzismo, il quale si presenta come difensore delle identità culturali, dunque come antirazzismo autentico. Siamo entrati nell'oceano dell 'ambiguità

(Taguieff 1993: 19


Il fatto
Nel 1989 al Burnage High School nel South Manchester avvenne un fatto grave. Darren Coulborn, un ragazzino bianco di tredici anni, uccise il suo coetaneo pakistano Ahmed Iqbal Ullah nel campo giochi della scuola. "I've killed a Paki , I 've killed a Paki" gridava il ragazzino quasi orgoglioso dell'omicidio appena compiuto.


Venne istituita una commissione d'inchiesta e, in breve tempo, divampò un'accesa polemica sui programmi di educazione multiculturale e antirazzista che si svolgevano nella scuola stessa, particolare questo non certo trascurabile. Il Daily Teleghraph titolava: "Antiracist policy led to killing", e sulla stessa linea Peter Wilby dalle colonne dell' 'Indipendent concludeva che l'educazione antirazzista era stata un completo disastro.


Pur nella sua riconosciuta accidentalità, il tragico evento di Burnage rappresenta simbolicamente l'avvio di una riflessione sui metodi ed i presupposti dell'educazione multiculturale e antirazzista così come era stata concepita fino a quel momento nelle scuole britanniche. Una revisione ancora in corso che coinvolge pedagogisti, sociologi e antropologi e comprende una discreta bibliografia.


I lavori della commissione d'inchiesta sono stati raccolti nel Mcdonald report, Murder in the playground (1989), dal quale risulta una profonda disillusione verso le strategie educative multiculturali e antirazziste e una ferma condanna dei programmi svolti nella scuola, bocciati come: dottrinari, creatori di confini, controproduttivi e inefficaci (Rattansi, 1992: 13). Non è in discussione l'impegno antirazzista degli estensori del report: Ian Mcdonald, Gus Jhon, Reena Bhavnani e Lily Khan.


Soltanto pochi anni prima era stato concluso il celebre Rapporto Swann (Education for All, 1985), ottocento pagine sul tema dell'educazione delle minoranze etniche a cura del Department of Education and Science (DES). Il rapporto Swann, informato da un ottimista spirito liberale, affermava una concezione pluralista della scuola, sostenendo che una buona educazione dovrebbe saper riflettere e trasmettere non soltanto il patrimonio culturale della società britannica ma diventare specchio delle diversità culturali, intese come ricchezze, presenti nella realtà sociale considerata nel suo insieme e mobilitarsi contro ogni pregiudizio (Cfr. Lynch 1989: 32).

 

Un netto rifiuto quindi delle politiche assimilazioniste che, fino ad allora, avevano indirizzato più o meno tacitamente le strategie educative britanniche verso le minoranze etniche. Il Macdonald Report può essere letto come un duro richiamo alla realtà rispetto all'ottimismo dello Swann Report e un primo sguardo alla complessità implicita nei temi del multiculturalismo e del razzismo, non aggirabile con facili formule o dichiarazioni di principio.


Le brevi considerazioni che seguono devono essere comprese nel contesto specifico dell'ambiente britannico, connotato da una consistente presenza multietnica fin dai primi anni '50. Qui, generalmente, le persone di colore e le altre minoranze etniche, non sono gente di passaggio, ma regolari cittadini britannici dell'ex-impero; quando si parla di studenti west indian, asiatici ecc., il riferimento è all'origine dei genitori, non al luogo di nascita dei ragazzi. Ben diversa dalla situazione italiana quindi, quella della Gran Bretagna rappresenta una fase "avanzata" dal punto di vista della convivenza multietnica, una spia da tenere sottocchio per il tipo di problemi che forse presto ci troveremo ad affrontare.


Documenti istituzionali: le categorie interpretative
Un primo bersaglio della revisione critica scaturita dai fatti di Burnage, sono state le categorie tassonomiche impiegate nei documenti ufficiali del DES che si sono occupati dell'educazione delle minoranze etniche, in particolare le indagini, dai primi anni '80 in poi, interessate ad individuare le cause dello scarso rendimento degli scolari di origine west indian (afrocaraibici).


In generale, l'analisi critica mette in evidenza come certe categorie etniche usate come descrittori della popolazione studentesca, impediscano una corretta comprensione dei fenomeni in oggetto. Parte delle ricerche che poi confluirono nell'inchiesta Swann, fu avviata una decina di anni prima dal DES, allora sotto la presidenza di Anthony Rampton, proprio come indagine sulle cause dello scarso rendimento degli studenti di origine etnica west indian. Nel 1981 venne pubblicato un primo documento a firma dello stesso Rampton intitolato, occorre sottolinearlo, West Indian Children in Our School; è interessante soffermarsi sulle modalità tassonomiche impiegate per suddividere la popolazione studentesca dal punto di vista etnico.


Le categorie impiegate da Rampton erano tre: 1) asiatici; 2) west indian e 3) altri.
Per il level O e il CSE, risultava un rendimento scolastico sostanzialmente identico per "asiatici" e "altri", molto scarso per i "west-indians".
Due ricercatori, Reeves e Chevannes in un articolo del 1981, rimaneggiando i dati di Rampton dimostrano che se presi in debito conto i livelli di provenienza socio-economica, ignorati completamente nel documento, le performances scolastiche dei tre gruppi diventano molto simili. Inoltre, nella larga categorizzazione tripartita, non appariva né che gli "asiatici" ragazzi del Bangladesh e del Pakistan avevano anch'essi un basso rendimento scolastico, né che le ragazze afrocaraibiche erano molto più brillanti dei loro colleghi maschi di uguale origine etnica.


Comunque nel rapporto Rampton la causa dell'insuccesso scolastico dei west indian è attribuita principalmente a certe caratteristiche patologiche della "black family", della quale viene fornita un'immagine stereotipata con una sottolineatura eccessiva del modello problematico. La "black family", secondo quest'immagine, è generalmente composta da un solo genitore, per lo più assente dall'ambiente domestico perchè impiegato lontano da casa, il quale per mancanza di tempo e di risorse culturali, non ha la capacità di seguire e sostenere i figli nel lavoro scolastico. Un'immagine che rispondeva anche all' esigenza di render conto delle rivolte dei giovani neri culminate nei disordini "razziali" di Brixton in quegli stessi anni.


Il punto debole di queste analisi ufficiali è una concettualizzazione del problema in termini di "essenzialismo etnico", come lo definisce Rattansi (1992); i comportamenti di persone caratterizzate da una stessa origine etnica, vengono fotografati in sfere culturali statiche e dai confini netti (la famiglia black, o, come vedremo tra breve, quella asiatica). Utilizzando queste rigide categorie tassonomiche è pressoché impossibile comprendere i fenomeni legati alla dimensione etnica in una società urbana-complessa come quella britannica, nella quale in realtà tali fenomeni si presentano strettamente intrecciati con altre dimensioni del sociale altrettanto importanti: quali la classe, il genere e le particolarità irriducibili dei contesti specifici in cui le interazioni hanno luogo: scuola, casa, quartiere, luogo di lavoro.


Ma anche l'elogiato Swann Report cade nella trappola dell' essenzialismo culturale.
Questo emerge, di nuovo, nel tentativo di affrontare i differenti livelli di rendimento scolastico tra asiatici e west indians. Oltre a continuare ad ignorare lo scarso rendimento degli studenti del Bangladesh e del Pakistan, compressi nella categoria extra-large dell'asiatico, questa volta viene isolato un modello di "cultura asiatica" e in particolare il suo elemento portante fondamentale: "la famiglia". La struttura chiusa, protettiva della "tradizionale" famiglia asiatica è considerata adatta a creare un ambiente favorevole al lavoro scolastico.
L'impostazione semplicistica e alcune contraddizioni nel ragionamento emergono quando si affrontano le questioni di genere, in particolare a proposito del rendimento scolastico delle ragazze asiatiche. Quella stessa struttura culturale (la famiglia tradizionale asiatica) è, improvvisamente, responsabile di una grave crisi d'identità; in bilico tra Asia-Oriente /Gran Bretagna-Occidente le studentesse asiatiche si trovano a scegliere tra due culture considerate come "essenze".


I lavori di Avtar Brah e Rehana Minhas (1986) hanno dimostrato che tra le ragazze asiatiche il grado di conflitto intergenerazionale non è più alto di quello riscontrato tra le ragazze bianche. Neanche lo Swann report così riesce ad uscire dall'essenzialismo etnico che ha egemonizzato il dibattito in quest'area e che continua ad egemonizzarlo.


Su un altro versante, la dimensione del genere sessuale consente di cogliere molto bene le ambivalenze e le contraddizioni dei discorsi e degli stereotipi razzisti. Le indagini di Rattansi e Gilman (1992) hanno elencato una serie di contraddittorie e ambivalenti stereotipizzazioni di cui è oggetto l'immagine della donna asiatica. L'immaginario di senso comune la dipinge variabilmente sia come 1) angelo del focolare simbolo della "famiglia asiatica tradizionale" sia come 2) il soggetto oppresso delle pratiche patriarcali tradizionali, o come 3) un problema sociale a causa del sua scarsa acculturazione alla lingua e ai costumi dominanti che non le consentono di adeguarsi alla British way of life, o 4) addirittura piena di fascino sessuale prodotto da una seduttività ingenua e misteriosa emanante da un esotico erotismo orientale. Non si tratta di scegliere tra l'una o l'altra di queste immagini, ma di saperle ricondurre ai contesti specifici in cui hanno origine, integrarle in una prospettiva di ricerca generale consapevole della variabilità e dei discorsi contradditori e ambivalenti che hanno come oggetto l' Altro.


Tornando alla scuola, come accennavamo sopra, quel che le ricerche più recenti evidenziano è che i risultati educativi delle ragazze afrocaraibiche sono più alti di quelli dei ragazzi di uguale origine etnica. Molte ragazze afrocaraibiche, sembrano aver adottato una strategia intelligente che combina resistenza e integrazione, dando prova di una grande tenacia nel perseguire qualifiche educative alte rispetto alle ragazze bianche. Si impegnano a scuola e aspirano a lavori ben pagati ma senza tante illusioni circa il livello di discriminazione razziale e di segregazione sessuale presente nel mondo del lavoro. Per sintetizzare, non c'è semplicemente una cultura del fallimento o di resistenza, ma piuttosto una multiforme serie di strategie individuali complesse generalmente collocate nell'ambito di un forte attaccamento alla famiglia e alle identità culturali originarie (cfr Dex, 1983; Fuller, 1982;). Il corollario è che un qualsiasi riduzionismo impedisce di cogliere nei suoi molteplici aspetti realtà come quelle del razzismo e dell'etnicità .


L'assunzione dell'essenzialismo culturale e etnico ha pregiudicato i dibattiti pubblici e la produzione di conoscenza su questi fenomeni. Restituire profondità al discorso sul multiculturalismo significa soprattutto cominciare ad opporsi al razzismo nella sua forma moderna quella "differenzialista". Basato sul riconoscimento liberale e relativista del diritto all'esistenza e della dignità di tutte le culture, concepite come repertori isolati e immobili di tratti e comportamenti, il razzismo differenzialista è interessato soprattutto a difendere la propria (la cultura nazionale).


In questo senso la scuola diventa un campo strategico di conquista come deposito e meccanismo trasmissivo fondamentale della cultura di una nazione. Continuare a difendere un multiculturalismo astratto slegato dalle dinamiche sociali reali significa fare il gioco di un razzismo che si presenta superficialmente come "antirazzista".


Multiculturalismo: la questione del pregiudizio
Secondo la prospettiva educativa del multiculturalismo, così come espresso nello Swann Report o negli scritti ormai classici di Jeffcoates (1979) e Lynch (1989), la questione chiave che la scuola deve affrontare è come creare tolleranza per le minoranze etniche e un clima di accettazione "razionale" delle loro culture. La causa principale dell'intolleranza è individuata nel pregiudizio: una pre-comprensione stereotipizzata, prodotta da paura e/o scarsa ed errata conoscenza dell'altro. La prescrizione educativa fondamentale è allora quella di fornire informazioni giuste e complete, decostruendo false immagini, instaurando un rapporto di scambio reale tra culture diverse. E' cio' che Rattansi chiama "il modello additivo della diversità culturale" (1992:39), tipico intervento curricolare del multiculturalismo.


Il primo punto di debolezza di queste concezioni è l'aspettativa semplicistica che il pregiudizio sia espresso dai soggetti in maniera lineare e non contraddittoria. In realtà, come ricerche recenti dimostrano, il soggetto "razzista" è ambivalente e contradditorio nei suoi comportamenti e nelle sue espressioni. Ad esempio, in un loro studio Billig e Cochrane (1984) riportano il caso di una ragazza bianca, che malgrado durante i colloqui esprimesse dei forti pregiudizi razzisti, era una sincera amica di una ragazza asiatica con cui era stata vista più volte dagli stessi ricercatori. Anche Philip Cohen (1989) nelle sue ricerche sui giovani della working-class bianca nell'Inner City londinese riscontra atteggiamenti più o meno favorevoli verso i neri a secondo dei contesti e degli argomenti di discussione.
Un caso emblematico è proprio quello di Daren Coulbourn, il ragazzo bianco del Burnage High School, indagato dal Mac Donald Report. L'assassino dello studente pakistano Ahmed Iqbal Ullah era altresì noto nella scuola per la sua abitudine di "far danni" in compagnia di altri ragazzi asiatici, con i quali aveva dato fuoco alla classe di educazione artistica. I pregiudizi di Darren non erano certo lineari e sistematici, la complessità del suo atteggiamento risultava dalla presenza di una forte componente di cultura violenta "mascolina" tipica di alcuni gruppi giovanili della working-class britannica che si materializza in varie forme, comprese quelle ben conosciute del tifo calcistico (Cfr. Willis 1978).


E' interessante accennare anche agli atteggiamenti ambivalenti della gioventù bianca nei confronti di alcune forme culturali "nere", indagati dai Cultural Studies, ad esempio l'attrazione per le forme musicali afrocaraibiche e afroamericane, ma anche, e questo è più preoccupante, l' ammirazione per alcune forme aggressive della delinquenza "machista" afrocaraibica, che in alcune scuole e quartieri sono sfociate in alleanze tra giovani bianchi e afrocaraibici ai danni degli studenti asiatici, mentre in altre dove il conflitto tra bianchi e-neri non si manifesta per composizione etnica, i fenomeni razzisti avvengono tra i gruppi appartenenti a differenti minoranze etniche, per esempio asiatici contro afrocaraibici o ciprioti contro vietnamiti. In queste situazioni la prescrizione "additiva" della prospettiva multiculturalista classica sembra poco efficace.


Il Burnage Report è il primo documento di tipo ufficiale che tenta di rendere conto di queste complessità. Ben distante quindi dalle semplificazioni del discorso multiculturalista sul pregiudizio e del soggetto che ha pregiudizi.
Le ricerche sugli effetti dei programmi di educazione antirazzista e multiculturale non possono operare con i modelli lineari ed essenzialistici della psicologia e della sociologia convenzionale. Occorrono analisi più sottili, approcci etnografici a lungo termine per comprendere in che modo i soggetti utilizzano questi insegnamenti e come le identità si ricompongono in contesti differenti. In sintesi restituire profondità alle questioni dell'etnicità e del multiculturalismo, in linea con la più aggiornata ricerca antropologica che sottolinea la dinamica della cultura, la sua intrinseca instabilità, abbandonando il modello ottocentesco di Tylor (1871), perché strumento poco adatto a comprendere le situazioni complesse della contemporaneità. Comunque in assenza di queste ricerche, il rifiuto totale delle strategie multiculturaliste non può essere sostenuto così come viene espresso da ricercatori come Troyna (1987). Occorre però cominciare a riconoscere la variegata tessitura dei discorsi razzisti il loro essere sempre articolati in contesti specifici: in una lezione, in una scuola, in un corridoio, in un parco giochi; a lavoro, per la strada. Questi differenti luoghi possono produrre alleanze inedite e punti di tensione mutevoli che esigono un'indagine approfondita.


Un antirazzismo all'altezza dei tempi dovrebbe avere la capacità di andare oltre tutte le teorie monocasuali del razzismo che lo riconducono ad un'unica spiegazione; non accontentarsi delle certezze ideologiche che fondavano il vecchio antirazzismo; essere capace di superare il pregiudizio secondo cui il razzismo non è altro che un fenomeno residuale destinato a scomparire (Rivera 1993).

Vincenzo Bitti


Riferimenti bibliografici


Brah, A and Minhas, R. (1986) "Structural Racism or Cultural Differences? Schooling for Asian Girls" in Weiner, G (ed.) Just a Bunch of Girls, Milton Keynes, Open University Press.


Cohen, P, (1989), The Cultural Geoghraphy of Adolescent Racism, London, Centre for Multicultural Education, University of London Institute of Education.


Dex, S. (1983) The second generation: West Indian female school leavers' in Phizacklea, A (ed) One Way Ticket, London Routledge.


Fuller, M. (1983) 'Young Female and black in Cashmore, E. and Troyna, B. (eds) Black Youth in Crisis, London Allen and Unwin.


Jeffcoate, R. (1979), Positive Image, London, Writers and Readers.
Lynch, J., 1989 Multicultural education in Global Society, The Falmer.
Macdonald, I., Bhavani, R, Khan, L. and John G., Murder in the Playground, (1989) London, Longsight Press.
Donald J. e Rattansi, A. eds (1992), Race Culture e Difference, London: Sage.
Gilman, S.L. "Black bodies, white bodies: toward an iconography of female sexuality in late ninetheent-century art", in Donald e Rattansi (1993).


Rattansi, A. Racism Culture and Education, in Donald e Rattansi 1992.
Reeves, F. and Chevannes, M. (1981), "The underachievement of Rampton", in Multiracial Education , 12(1).


Rivera, A., (1993) "<<Razzismo differenzialista >> antirazzismo difficile e intolleranza dei colti", in Il De Martino (2).


Taguieff, P.A. , (1993) "Le Miserie dell'antirazzismo" in La Balena Bianca, Milano n. 7.


Troyna, B. (1987) "Beyond the multiculturalism: towards the enactment of anti-racist education in policy, provision and pedagogy", Oxford Review of Education, 13(3).


Troyna B. and Carrington B. (1990) Education Racism and reform, London Routledge.


Willis, P. (1978), Learning to labour, Farnbourough, Saxon House.


Pubblicato in Proiezioni. Rivista di Cultura scolastica e professionale Anno I n. 4-5 luglio-ottobre 1995, pp. 33-36.

 

 


 

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