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Contributo presentato al Convegno "Gli studi di storia dell'antropologia in Italia"
Villa Mirafiori, Aula VI, Roma 12 - 13 - 14 ottobre 1995

 

ANTROPOLOGIA URBANA: TRA NUOVO OGGETTO E NUOVO PARADIGMA

 

 

 

 

 

 

 

1. Questioni di etichetta

2. I percorsi urbani della ricerca antropologica

2.2. Studi urbani nei paesi del terzo mondo e in via di sviluppo

2.3. Studi rivolti alla società d'appartenenza dell'antropologo

2.4. Studi sulla città come istituzione sociale

3. Città e società: concettualizzazioni

3.1. Funzionalismo e studi di comunità

3.2. Crisi dei paradigmi forti

3.3. Verso un nuovo paradigma

 

Abstract
L'articolo ripercorre l'emergere della specializzazione dell'antropologia urbana con particolare riguardo all'ambito statunitense e britannico, cercando di dimostrare che l'affermarsi di questo settore di studi sia collegato oltre che ad importanti trasformazioni nel contesto storico-politico globale in cui l'antropologo si inserisce, anche a fondamentali mutamenti sul piano teoretico ed epistemologico che investono l'antropologia contemporanea e le scienze umane in genere.

 


1. Questioni di etichetta

Negli studi antropologici l'emergere di un interesse specifico rivolto agli ambienti urbani è un fenomeno relativamente recente che risale alla fine degli anni '60. Uno dei primi libri a trattare dell'argomento è una raccolta di saggi a cura di Elizhabeth Eddy: Urban Anthropology. Research, Strategies, Perspectives, pubblicato nel 1968; è questo anche il primo volume nel cui titolo appare l'etichetta di Antropologia Urbana, ad indicare la nascita di una nuova specializzazione . Nel 1972 viene poi creata la rivista Urban Anthropology, fondata da Jack Rollwagen e Robert Van Kemper e nel 1979, sempre per iniziativa dei due antropologi americani, viene fondata la Society of Urban Anthropology (SUA) nell'ambito dell' American Anthropological Association.


A ben vedere, l'etichetta di antropologia urbana con cui si è soliti indicare questo nuovo settore degli studi antropologici, non esaurisce ne specifica esattamente, la grande varietà di ricerche, prospettive teoriche e metodologiche che si raggruppano sotto questo nome. Non è certo un caso che intorno a quella di antropologia urbana sia sorta una piccola costellazione di altre denominazioni più o meno equivalenti che vengono impiegate fino ad ora senza eccessivo rigore. Così quando si parla di antropologia urbana, si intende e spesso si sottintende il riferirimento anche ad un'antropologia delle società complesse, ad un'antropologia delle società post-industriali e postmoderne o semplicemente ad un antropologia della città; sono queste le etichette che si associano più di frequente o vengono impiegate come sinonimi di quella di antropologia urbana. Il nostro interesse per le etichette non è puramente nominalistico e concordiamo con Balandier quando afferma che:


«I documenti di riconoscimento scientifico sono sempre ingannevoli, e questi lo sono nella misura in cui separano aspetti che l'intenzione iniziale legava necessariamente.» (Balandier 1973:1).


L'uso sinonimico e associativo delle etichette è certamente indice di una certa aria di famiglia, che le lega tra loro.
Un aria di famiglia che consiste, in generale, nella scelta o meglio, come vdremo, nella necessità dell'antropologia di orientarsi verso lo studio delle società complesse e/o urbane. Una necessità che scaturisce dalla consapevolezza di operare in un presente profondamente mutato rispetto allo scenario globale in cui si muoveva l' "antropologo classico" prima della fine della seconda guerra mondiale. Una situazione nuova generata fondamentalmente dall'espansione del sistema economico e culturale dell'occidente; prima attraverso le armi degli eserciti coloniali, dopo sui fili del "villaggio globale ", questa diffusione ha reso "complesso" ciò che una volta si riteneva semplice: le società tradizionali.
Nel quadro delle prospettive di ricerca l'elemento urbano viene percepito o come "immagine della società complessa", concettualizzando quindi la città come una "totalità" e come potenziale oggetto di studio in se stesso " (Pitto 1980), o come prodotto di questa complessificazione progressiva che è il mondo contemporaneo (Leeds 1972) .


La pluralità delle etichette che abbiamo citato un po' sbrigativamente riflette uno sforzo di definizione di questi nuovi e strategici settori della ricerca antropologica. La difficoltà dell'operazione discende essenzialmente sia dal grande numero degli indirizzi di ricerca e dalla mancanza di forti coordinate teoriche che riescano a guidare questi nuovi percorsi. Questa pluralità di approcci è particolarmente avvertita in un campo "complesso" e "labirintico" per definizione come quello urbano; Judith Goode in un recente intervento sull'argomento per la rivista italiana La Ricerca Folklorica afferma che: « i libri di testo più usati per l'insegnamento [dell'antropologia urbana] consistono in una serie di letture che sottolineano la diversità degli studi svolti sotto l'etichetta di antropologia urbana ». (Goode 1990:75) .


Alla diversità delle ricerche corrisponde un analoga variabilità delle prospettive teoriche e quindi anche nelle etichette di identificazione di queste diverse prospettive; ad esempio proprio nel libro della Eddy, ricordato all'inizio del paragrafo, troviamo tra i diversi saggi, quelli di Conrad Arensberg: The Urban in CrossCultural Perspective e quello di Anthony Leeds: The Anthropology of Cities: Some Methodological Issues, che contengono "in nuce" due concezioni dell'antropologia urbana per certi versi opposta . Mentre Arensberg si sforzava di considerare le città come delle totalità, oggetti di studio in se stesse (Arensberg 1968), per una prospettiva di ricerca interculturale di tipo comparativo, Leeds, al contrario, andava alla ricerca di modelli teorici e metodologici per riuscire ad inserire la "totalità città" in una totalità ancora più vasta: la società nazionale di cui la singola città faceva parte; e sottolineava l'impossibilità di capire una città studiandola in se stessa, senza conoscere la situazione nazionale e sovranazionale in cui questa era inserita; è il famoso argomento di Leeds, che "nessuna città è un isola". La sua posizione si radicalizzerà negli anni successivii e lo condurrà a criticare fortemente il progetto di un'antropologia urbana come specializzazione autonoma dal resto dell' antropologia generale.


La sua posizione fu "democraticamente" riportata sul primo numero di Urban Anthropology; ad ogni modo la pubblicazione della rivista rappresenta certamente una tappa importante sulla via di fondare un antropologia urbana come area specializzata :
« There is a serious question involved in creating a new journal and a newsletter called 'Urban Anthropology'. I consider such a field a spurious and a retrograde one in that it tends to make an excuse for maintaining a subject matter within a discipline which cannot and should not handle it. Just because the work is done in cities is no excuse for creating another journal, which likely will be devoted to too much emphasis on microstudies of limited import for understanding cities [.....] The point is that 'urban anthropology' has been done as if (a) the city were an isolated unit and (b) as if the thing studied in the city has some intrinsic relation to the city. Neither of these assumptions is true, hence most of the work has ended up being very limited. For example, most of the African network literature seems to me to be completely bogged down in methodology because it has failed to attack important question of broader substantive theory. Cities are simply one form of population nucleation, all of which are precipitates in localities of an extraordinarily complex system of interactions which constitute a society » (Leeds 1972:4-5).


La prospettiva di Leeds sembra così adeguarsi meglio alla dizione di "antropologia delle società complesse" che non a quella di "antropologia urbana", in quanto la città è concepita, né come un oggetto di studio in se stesso, né come un microcosmo, ma come elemento facente parte di un "macrocosmo complesso" . La prospettiva di Leeds, come vedremo, avrà degli effetti importanti sugli svolgimenti futuri di questo settore degli studi che per ora possiamo continuare ancora a chiamare antropologia urbana .
A questo punto, prima di procedere oltre accennata la diversità delle prospettive antropologiche sull'urbano, si rende necessario un primo orientamento tipologico che permetta di orientarsi tra le diverse prospettive di ricerca sulla città.


2. I percorsi urbani della ricerca antropologica

2.1. Introduzione
Nell'esporre i diversi percorsi della ricerca urbana in antropologia, occorre saper collocare questa tendenza sullo sfondo dei dibattiti contemporanei che animano la disciplina e le scienze sociali in generale, tenendo presente la nuova situazione storica in cui il ricercatore sociale si è trovato ad operare .
Ghaus Ansari e Peter J.M.Nas nell'introduzione ad uno dei primi simposi sul tema dell' Antropologia Urbana, svoltosi a Vienna nel 1982, affermavano che :
« The end of World War II posed new problems for mankind; it was therefore inevitable for the science of man - anthropology - to free itself from its narrow scope and to respond to the challenge of time.» (Ansari e Nas 1983:2).
Il fine ristretto (narrow scope) era chiaramente lo studio delle società tradizionali, mentre la sfida era rappresentata dall'emergere di città di tipo industriale in Africa e in Asia, "luoghi ideali" fino ad allora per ricerche antropologiche di tipo convenzionale.


Un atteggiamento di sfida per certi versi analogo lo ritroviamo in alcuni esponenti dell'antropologia interpretativa statunitense.
« At the broadest level, the contemporary debate is about how an emergent postmodern world is to be represented as an object for social thought in its various contemporary disciplinary manifestations» (Marcus and Fisher 1986 :viii ).
In questo caso la nuova situazione storica ha generato una profonda revisione critica dell'antropologia, dei suoi fini e dei suoi metodi, oltre che dei suoi oggetti di studio. Una crisi questa che non investe solo l'antropologia, ma le scienze sociali in genere :

" In anthropology and all other human sciences at the moment 'high ' theoretical discourse - the body of ideas that authoritatively unify a field - is in disarray " (G.E.Marcus 1986:166).


Un certo disorientamento sembra dunque dominare la ricerca sociale al momento attuale, come sottolineano Marcus e Fisher nella prefazione ad un importante volume proveniente da questa impostazione critica e sperimentale: Anthropology as Cultural Critique :An Experimental Moment in the Human Sciences :
« Thus, in every contemporary field whose subject is society, there are either attempts at reorienting the field in distinctly new directions or efforts at synthesizing new challenges to theory with established programs for research.» (Marcus e Fisher 1986 :viii).
Un punto nodale di questa crisi risiede nella crisi dei modelli della rappresentazione sociale, da cui è derivato il dibattito sulla scrittura etnografica (Geertz 1990).
Anche l'antropologia urbana è figlia di questa situazione, e sconta le conseguenze di questo "momento sperimentale", generato dalla mancanza e dalla crisi di forti quadri di riferimento teorico. Malgrado infatti siano trascorsi quasi due decenni dalla sua apparizione nell' antropologia urbana non esiste ancora un accordo comune circa i fini, le prospettive e i metodi e, come abbiamo visto, nemmeno sul suo nome .
L'antropologia urbana al momento attuale non offre un corpus di idee stabile e definito; da alcune compilazioni di carattere storico che tentano di tracciare il percorso del pensiero antropologico rivolto alla città (Hannerz 1980, Basham 1978, Press and Smith 1980), in ultima analisi quello che esce fuori è l'estrema variabilità del tipo di ricerche . L'antropologia urbana e/o delle società complesse si trova ancora in una fase sperimentale.


Ma è necessario offrire un primo orientamento di massima nel vasto panorama della ricerca antropologica urbana, delineando le varie tendenze e le cause che hanno portato all'emergenza di questo settore .
Goode nell'articolo già citato, a proposito della diversità delle ricerche etichettate antropologia urbana, discutendo di un volume pubblicato negli Stati Uniti sull'argomento, afferma :


« Il modo stesso in cui sono sistemati i contenuti di una raccolta intitolata The Nature of Urban Anthropology in the Eighties (Stack ed Ellovich 1985) rivela la divisione del campo in più compartimenti. Le categorie usate sono :la natura delle società urbane complesse, l'antropologia delle città, l'urbanizzazione del Terzo Mondo e i metodi [....] La subarea istituzionalizzata è una libera confederazione di interessi di ricerca che tollera la diversità anzichè cercare un unico paradigma egemonico. Tale diversità emerge dalle categorie di Stack ed Ellovich (1985) in cui tra coloro che insegnano antropologia urbana ci sono quelli che si interessano genericamente alla natura della società post-industriale, quelli che considerano le città come istituzioni e quelli che si limitano ad occuparsi dell'urbanizzazione del Terzo Mondo " (Goode 1989:81).


In questa "confederazione di interessi di ricerca" le categorie individuate dalla Goode del volume di Stack ed Ellovich possono essere a loro volta derivate da due tendenze generali degli studi antropologici contemporanei: 1) studi sulle trasformazioni sociali dei paesi del Terzo Mondo e in via di sviluppo; 2) studi rivolti alla società d'appartenenza dell'antropologo.
Un discorso a parte è possibile fare per quegli indirizzi di ricerca che considerano le città come entità definite studiabili in se stesse, che potremmo definire come :
3) studi comparati trans-culturali di città e metropoli concepite come "istituzioni".
Dietro l'etichetta di antropologia urbana cominciano a definirsi prospettive di ricerca diverse, a volte intrecciate e interrelate tra loro .


2.2. Studi urbani nei paesi del terzo mondo e in via di sviluppo


Come abbiamo visto (Ansari e Nas 1983), l'emergere dell'antropologia urbana è strettamente legato alla situazione storica verificatasi dopo la seconda guerra mondiale. La crisi del colonialismo europeo e la conquista dell'indipendenza politica da parte di molti paesi del Terzo Mondo, sono elementi fondamentali di questo nuovo quadro internazionale .
Quel che si proponeva come nuova sfida per l'antropologia era la comprensione di questi effetti dovuti, in gran parte, al contatto con l'occidente in paesi ancora organizzai, in larga misura, su sistemi di tipo tradizionale. Tra questi, gli effetti quello della nuova urbanizzazione in Africa, sono stati i i primi ad essere presi in considerazione dagli antropologi.


Proprio sotto la spinta di tali considerazioni si sviluppa a partire degli anni '30 un filone dell'antropologia sociale britannica che Colajanni (1991) chiama "modernista" e " dinamista". Gli studi di Godfrey e Monica Wilson (1941, 1942) sui fenomeni di "detribalizzazione" delle popolazioni dell'Africa Centrale, inaugurano un processo di "devillagizzazione" dell'antroplogia britannica che iniziava ad occuparsi delle "situazioni contemporanee delle società africane".
Tale processo prosegue nell'attività di ricerca della cosidetta Scuola di Manchester, un gruppo di ricercatori, guidati da Max Gluckman, che tra gli anni '40 e '60, compie studi importanti sulle trasformazioni sociali in atto nell' Africa Centrale, concentrandosi in particolare nella zona mineraria della Copperbelt (la fascia del rame).
Il gruppo era organizzato intorno al Rhodes-Livingstone Institute, un istituto di ricerca sociale fondato a Lusaka nel 1937; il suo primo direttore fu, fino al 1945, proprio Godfrey Wilson, seguì poi Max Gluckman. L'influenza di quest'ultimo sulle attività dell'Institute fu mantenuta attraverso il rapporto che i due direttori che gli successero, Elizhabeth Colson e Clyde Mitchell mantennero con il maestro, che era stato promosso ad incarichi accademici, prima ad Oxford nel 1948,e un paio di anni dopo a Manchester, a dirigere il nuovo dipartimento di antropologia; di quì il nome di Manchester School.
Le ricerche di Epstein , Mitchell ,Turner, Van Velsen, per citare solo alcuni dei suoi esponenti più conosciuti, continuarono a seguire la traccia che Gluckman aveva fornito nel Seven Year Plan (1945):
« Nel 1945, quando il mondo usciva dalla guerra e sperava di ritornare a uno stato di normalità, Gluckman elabora un progetto di ricerca per l'Instituto della durata di sette anni . Si tratta, a suo avviso, del 'primo progetto del genere intrapreso dall'impero britannico '. Gluckman cita il commento di un collega, secondo il quale il progetto proposto era il più grande avvenimento nella storia dell'antropologia sociale dopo la spedizione allo stretto di Torres alla quale aveva partecipato Rivers. L'obiettivo era di prendere in considerazione i principali sviluppi sociali della regione, di presentare un ventaglio più ampio possibile di dati e di materiale comparativo sull'organizzazione sociale indigena e moderna, e di trattare i problemi sociali più importanti incontrati dall'amministrazione del territorio. Il progetto doveva quindi occuparsi sia della società urbana che di quella rurale, delle differenti culture africane tradizionali, delle zone rurali interessate dalle migrazioni della forza lavoro, dell'espansione dei vari tipi di economie monetarie locali , e infine delle città con differenti strutture economiche »(Hannerz 1992,:249).
Ecco nelle parole dello stesso Gluckman la prospettiva generale dell'ambizioso progetto:


« I must emphasize that I do not view the social processes at work as entirely disintegrative [...] My whole formulation of the problem depends on the recognizing that there is a Central African Society of heterogeneous culture-groups of Europeans and Africans, with a defined social structure and norms of behaviour, though it has many conflicts and maladjustaments." (Gluckman 1945, Seven Year Research Plan, cit.in Kuper 1983:149).


L'importanza del progetto di Gluckman è riconosciuta anche da Marcus e Fisher, che tuttavia non risparmiano critiche sul risultato finale che il Plan si era prefissato: la comprensione di un sistema sociale complesso, nel caso in questione la società centro-Africana degli anni '40:


« For instance, the Seven Year Plan, composed by Max Gluckman for the Rhodes Livingstone Institute in 1940, proposed a series of studies of different tribal economies and the effects of the colonial system on them. The composite result was to have been a detailed comprehnsion of the regional integration and variation of the Northern Rhodesia. The achievment of this composite view proved to be weak part of the project; making systematic connections was left to individual readers of the separate studies » (Marcus e Fisher 1986:91).


Il lavoro della Scuola di Manchester rappresenta comunque il corpus etnografico più consistente prodotto in un ambiente urbano da antropologi, se si esclude il lavoro della prima scuola di Chicago. Lo studio delle dinamiche di trasformazione delle società africane contemporanee, comportava necessariamente un'attenta considerazione delle città e in particolare del tipo di relazioni sociali che si producevano all'interno di essa.
Le città studiate dalla scuola di Manchester erano le città minerarie della Copperbelt, nate dall'espansione e dallo sviluppo del sistema coloniale britannico. Queste città composte in prevalenza di immigrati delle zone rurali circostanti che venivano impiegati come manodopera, erano un ottimo laboratorio, in cui osservare i processi di trasformazione e di passaggio da un economia di tipo tribale a quella di mercato e industriale basata su forme di insediamento di tipo urbano. Nella classificazione delle città africane che Aidan Southall ci fornisce (1961), esse ricadono nella categoria B, distinte da quelle di tipo A. Le città di tipo A sono di solito di antica formazione, la cui fondazione è in quasi tuti i casi precedente all'arrivo dell'amministrazione coloniale. Inoltre sono caratterizzate da uno sviluppo abbastanza lento e conservano forti legami con l'agricoltura e l'economia di sussistenza delle aree rurali .Le città di tipo B invece si definiscono per delle caratteristiche quasi opposte: di recente formazione, a sviluppo veloce, con una popolazione composta quasi esclusivamente da immigrati impiegati come forza lavoro nelle miniere e nelle industrie impiantate dai coloni europei.
In una frase, divenuta proverbiale nell'antropologia sociale, Gluckman sintetizza la necessità di considerare la funzione particolare che la città o meglio un certo tipo di città, quella industriale, assume nei processi di trasformazione sociale :

« An african townsman is a townsman, an african miner is a miner » (Gluckman 1961).


Un africano immigrato in città non va considerato solo a partire dalle proprie relazioni tradizionali e dalla cultura da cui proviene e di cui è portatore, ma anche e soprattutto come un' attore sociale che è entrato a far parte di un nuovo sistema di relazioni, quello urbano, basato sull'industria, il mercato ed il lavoro salariato, a stretto contatto insomma con una nuova cultura e con nuovi valori .
Importanti in questa prospettiva il saggio di Arnold L. Epstein: Politics in an Urban African Community del 1958 e quello di John Clyde Mitchell: The Kalela Dance . Aspects of Social Relationships among Urban Africans in Northern Rhodesia del 1956. Entrambi questi lavori analizzano situazioni di trasformazione indotte dal nuovo assetto della vita urbana sui sistemi tradizionali di organizzazione e identificazione tribale.


L'esperienza della Scuola di Manchester ha contribuito notevolmente sul piano teorico e metodologico ad un mutamento delle prospettive dell'antropologia sociale britannica.
La svolta "dinamica" nella sua versione manchesteriana ha prodotto un patrimonio di nuove metodologie per trattare le "situazioni complesse", come quella urbana appunto. La case analysis e e dei networks sono l'eredità metodologica più duratura della scuola di Manchester, e forniscono tuttora dei validi strumenti di indagine.
Il lavoro della Scuola di Manchester , inaugura una riflessione sul tema della complessità in antropologia che condurrà a un mutamento sostanziale delle prospettive della ricerca antropologica ed alla revisione dei paradigmi teorici dello struttural-funzionalismo su cui la ricerca si era mossa fino ad allora (Banton 1966, Van Velsen 1967) .
L'urbanizzazione del Terzo Mondo è comunque è un' argomento che continuerà di certo, ad essere al centro degli interessi contemporanei dell'antropologia. Qualche dato può fornirci un' idea più concreta del fenomeno. In termini generali circa 1/4 della popolazione dei paesi in via di sviluppo sono urbanizzati rispetto ai 3/4 dei paesi occidentali , ma il tasso di crescita delle città è di 3 a 1 rispetto all'occidente. Per fare qualche fugace comparazione storica:


« The urban growth in Europe (including Russia) throughout the whole of ninetheenth century amounted to some 45 million people, a total exceeded by Brasil alone in just the third quarter of the present century . Indeed between 1950 and 1975 the total urban population of the Third World grew by 400 million and by AD 2000 will have increased by a further 1000 million » (Drakakis-Smith 1987).


2.3. Studi rivolti alla società d'appartenenza dell'antropologo


Tra le conseguenze sulla ricerca antropologica della situazione postcoloniale c'è comunque da sottolineare l'accresciuta difficoltà di compiere ricerche all'estero, sia per l'indisponibilità dei governi locali (Asad 1973) che per il diminuita interesse ufficiale e quindi di disponibilità di fondi per questo tipo di ricerche .
Questa situazione mette in crisi fortemente l'immagine che l'antropologo ha costruito di se, come esperto di "esotismo" e "alterità" in genere. Un' immagine di questo tipo è quella che ci presenta Anthony Jackson in un numero monografico ASA, dal significativo titolo Anthropology at Home :


« After all, anthropologists were not contemporary historians but 'simply' antiquarians interested in 'primitive' life before the Western intrusion. There was no question then of 'concern' about the people themselves - only their culture was of interest, and they did not want it changed. One reason why early anthropologists sought island communities and other remotes areas was to find societies unaffected by Western culture - a somewhat vain hope » (Jackson 1985:8).


Il tema della fine dell'antropologia "esoticamente" intesa è uno dei temi giustificatori più ricorrenti nei primi testi di antropologia urbana (Eddy 1968), il timore della scomparsa o dell'ineluttabile modernizzazione delle poche società primitive e tradizionali rimaste ha generato sia una tendenza verso la cosidetta urgent anthropology, sia un percorso verso nuovi orizzonti di ricerca .
L'antropologia urbana, nella sua versione domestica, è certamente parte di questi nuovi orizzonti della ricerca, una risposta possibile ad una situazione di "crisi dell'oggetto" che può decretare la fine di una disciplina o di un certo modo "romantico" di concepirla. Questi ostacoli e questi timori costringono così l'antropologo a ripiegare sulla propria società, dietro l'angolo di casa, ma lo spingono anche verso una riflessione su cosa è stata la sua disciplina fino ad oggi.
Dinamiche di "pura soppravvivenza". intersecate a progetti riflessivi costringono necessariamente a rivedere il proprio ruolo.
Sul piano delle collocazioni accademiche:


« La rapida espansione del mercato occupazionale accademico si arrestò improvvisamente facendo sentire impellente il bisogno di formare gli studenti per l'ingresso nel campo amministrativo e in altre posizioni non accademiche in cui veniva richiesto un maggiore avvicinamento con altri scienziati sociali e professionisti. In altri termini bisognava preparare gli scienziati sociali generici in grado di collaborare con altri scienziati » (Goode 1990:75).


L'antropologo inizia così ad occuparsi dei problemi della sua società d'appartenenza. La percezione di quest'ultimi come "problemi urbani", legati alle situazioni di vita delle grandi metropoli occidentali europee ed americane, lo mettono a contatto inevitabilmente agli ambienti della città e l a definirsi, in un qualche modo: antropologo urbano.
Tra i molteplici problemi delle città moderne quelli derivati dai fenomeni dell'immigrazione sembra il più consono a fornire agii antropologi un ulteriore risorsa di "alterità" .
L'antropologia urbana così, nelle parole di Robin Fox, poteva apparire, almeno ai suoi inizi, come : « una zuffa non dignitosa per trovare sostituti dei selvaggi negli slum » (Fox 1973. cit in Hannerz 1992:73).
Questo tipo di studi si sviluppa dapprima negli Stati Uniti, data la differenziata composizione che il popolo americano ha avuto fin dalle sue origini (melting pot) e la centralità che le grandi metropoli hanno nella società. Lo studio dei ghetti e dei problemi legati all'etnicità sono così ai primi posti tra gli interessi degli antropologi urbani.
Da questo punto di vista l'antropologia urbana assume anche una sfumatura "applicativa". Il metodo antropologico costruito per disegnare etnografie di microcomunità e microsituazioni, è capace di far luce su situazioni nebulose della vita sociale moderna, su aspetti oscuri che non compaiono tra i numeri delle rilevazioni statistiche ortodosse. Le sue scoperte "qualitative" possono così contribuire alla messa a punto di piani di intervento sociale più calibrati e suggerire modalità di intervento sociale indirizzate allo sviluppo di aree urbane depresse.
Ma negli Stati Uniti ci si riscopre fin dalle origini "domestici" :
« There always been a domestic interest in anthropology, especially in American anthropology where the exotic subjects were American Indians, immigrants , and urban migrants. But the current application of ethnography by anthropologists and other to a range of topics in american life , ranging from the culture of corporations and laboratories to the meanings of rock music, is unprecedented.» (Marcus e Fischer 1986:112).


Questo interesse per la propria società è ciò che Marcus e Fisher chiamano il "rimpatrio dell'antropologia come critica culturale" rappresenta una delle tendenze dell'antropologia contemporanea statutinense.
Seguendo questa vocazione Marcus e Fisher mettono in relazione l'antropologia statunitense con un' importante tradizione intellettuale della cultura europea; si riscopre la dimensione critica del pensiero di Marx, Freud , Weber e Nietzche, fino ad arrivare alla critica culturale dei filosofi della scuola di Francoforte, di scrittori come Walter Benjamin e di semiologi come Roland Barthes. Una tradizione questa che spesso ha dialogato con gli studi antropologici, come nel caso del movimento surrealista francese (Clifford 1988).


Parte di questa tendenza alla critica culturale è da rintracciare secondo Marcus e Fisher anche in quello spirito di documentarismo critico che ha attraversato la cultura americana negli anni '30. E' significativo che vengano citate le ricerche etnografiche della scuola di Chicago , la serie di ricerche Yankee City di W. Lloyd Warner, svolte tra gli anni 30 e 40 e il libro di W.F. Whyte, Street Corner Society (1955). Non è una coincidenza che questi lavori vengano anche considerati punti di riferimento essenziali quanto della sociologia come dell'antropologia urbana .
Marcus e Fisher mettono comunque in evidenza i limiti di questa tradizione di studi:
« In sum, American cultural criticism in the 1920s and 1930s was experimental in its efforts at documentary representation, and in anthropology's early moves at juxtaposing the ethnographic other cultural subject to domestic situations. It lacked the theoretical imagination of the more detached European varieties of critique in the same period, and it assumed that the documentation of reality was technically unproblematic, which, in contrast, was precisely the problem for the surrealist » (Marcus e Fisher 1986:127).


2.4. Studi sulla città come istituzione sociale.

I percorsi che abbiamo illustrato fino ad ora comprendono in un modo o nell'altro l'elemento urbano tra i loro orizzonti, ma non come oggetto privilegiato o unico, ma piuttosto nel quadro di un programma complessivo di rinnovamento delle prospettive e dei campi della ricerca antropologica. Esiste un indirizzo di ricerca che invece tende a vedere nella città un oggetto di studio in se stesso . Un "antropologia della città" propriamente detta, non "nella città" o "intorno la città", concepita quindi come un' istituzione sociale nettamente distinta dalle altre. Questo approccio, come abbiamo visto, era ben espresso da Conrad M. Arensberg (1968), che si applicava di considerare la città come una "totalità", oggetto di studio in se stessa, verso una prospettiva di ricerca interculturale e comparativa delle diverse forme di urbanizzazione . La posizione di Arensberg è comunque più articolata . Egli concepisce le varie forme di urbanizzazione come :
« forme storiche dell'evolversi dei rapporti sociali di produzione nelle diverse organizzazioni sociali » (Pitto 1980:176).
Tale impostazione resta comunque ferma al problema della definizione strutturale dell' elemento urbano, assumendo in un modo o nell'altro che si tratti di qualcosa di distinto dalle altre istituzioni sociali.
Anche Aidan Southall ha lavorato verso una prospettiva di Antropologia Urbana di questo genere: « come studio comparativo delle maggiori regioni e metropoli del mondo, il modello di Southall e dei suoi collaboratori presuppone che lo scopo dell'antropologia urbana debba essere la conoscenza dei processi urbani e che le entità che bisogna studiare e confrontare per raggiungere tale scopo sono le metropoli e le regioni storicamente definite " (Goode 1989: 77).
Anche questo indirizzo di ricerca ha preso l'avvio dalle trasformazioni in atto nei paesi del Terzo Mondo, ricordiamo a questo proposito i lavori del 1957 di Southall e Gutkind: Townsmen in the Making: Kampala and its Suburbs. L'accento viene posto sulla città come istituzione sociale definita e sulle influenze che esercita su questa trasformazione.
Questo prospettiva si coglie bene confrontando l'impostazione della scuola di Manchester, con quella di Southall.
A questo proposito vediamo quanto dicono Redfield Peattie e Robbins in un recente saggio, dove discutono della prospettiva di Manchester:
« They argued that as urbanism and urban society were so diverse and as they presented so many faces to different peoples and groups, urbanism should not be viewed as a totality but as a constantly changing set of situations into which groups fit and to which various groups responded differently. Thus urbanism was the study of flux and not structure, the study of an ever-changing ethnographic present rather than a historically and structurally distinct moment in human development »(Redfield Peattie e Robbins 1984:91-92 ).
Per la scuola di Manchester ma in questo caso ci si riferisce soprattutto alla posizione di Mitchell (1966), lo studio della città per l'antropologia si configura come studio dei processi di trasformazizone sociale, e delle situazioni in cui questi processi avvengono. La città viene considerata come il prodotto di queste trasformazioni dunque non rilevante come oggetto di studio in se stessa . Southall, polemizzando con Mitchell, itende a sottolineare le determinanti che la città può avere sulle relazioni sociali:
« I did not agree with this then, nor do I now. To ignore the determinants of the social relationships of urban africans is to treat them as puppets and if they are so dependent the nature of their dependency should be studied .» (Southall 1983:8).
Adombrate in questo dibattito è possibile cogliere due diverse concezioni dello studio sociale. Mentre Southall propende ancora verso l'analisi di quella che possiamo chiamare struttura sociale nella sua forma urbana , Mitchell propende verso lo studio dell'organizzazione sociale, cioè delle strategie e dei processi dinamici che l'attore sociale innesca nella struttura .
Ma seguiamo ancora il punto di vista di Southall.
I problemi posti dallo studio delle recenti forme di "urbanizzazione" africane lo conducono alla necessità di studiarle in una maniera diacronico-comparativa e interculturale; il problema gli si presentava in questo modo : « I also realized that in this part of Africa (East Africa), migrants were being asked to make not just one big jump, from pre-industrial or pre-capitalist to the capitalist industrial city, but two big jump at once, from pre-urban society, or, as many would put it nowdays, hopping over at least two modes of production , from pre-state communal mode to the capitalist urban mode »(Southall 1983 :8).
In questa prospettiva, il compito dell'antropologia urbana diventava:
« the understanding of pre-industrial cities which in Asia and Latin America provided a background to current urbanization which lacking in much of africa(except the west and North), as it also in non-White Oceania » (ibid:8).
L'antropologia attraverso la sua riedizione urbana, sembra, inun qualche modo, recuperare la sua vocazione ottocentesca, di regina delle scienze dell'uomo che : « Si imparenta con l'archeologia, la ricostruzione degli antecedenti e come dagli antecedenti si fosse arrivati alla civiltà » (Sobrero 1992:15).
Ecco la proposta finale di Southall per un' "antropologia urbana universale":
« I was faced with the perduring dilemma of social and cultural anthropology, that our most unique ispiration comes from intensive face to face research , while we must also understand longer processes and larger wholes . It is a paradox that in academic cultures which stress the broad sweep of general anthropology , including archeology as well as cultural anthropology, one arm of the discipline deals with the beginnings of cities and another with the ends of cities , with a very little communication between them. ...My conclusion is that urban anthropology must fill this gap by taking account of the long term evolutions and transformations of cities in different world cultural regions, by using available historical accounts of cities as anthropological informants » (Southall 1983:9).


3. Città e società: concettualizzazioni
3.1. Funzionalismo e studi di comunità

Nella nostra rassegna degli approcci antropologici alla città abbiamo lasciato sullo sfondo i paradigmi teorici che hanno guidato quelle ricerche, concentrandoci per lo più su discriminanti relative a oggetti e metodi di ricerca. Abbiamo anche accennato come l'antropologia classica, per intenderci quella di Radcliffe-Brown e Malinowsky, non assumesse come suo oggetto di studio l'elemento urbano ma preferisse concentrarsi su società di piccole dimensioni, sulla "comunità" piuttosto che su vere e proprie "società"; questa immagine fornita da Jackson è sicuramente valida , ma anche Benet coglie nel segno quando affermando che gli antropologi classici erano : « soggetti notoriamente agorafobici, anti-urbani per definizione » (Benet 1963 cit. in Hannnerz 1992:71).
Da un punto di vista teorico gli studi antropologici hanno costruito la loro identità di disciplina, distinta dal resto delle scienze sociali, sulla base di una dicotomizzazione delle forme sociali, formulata e riperpetuata nel corso di tutta la storia del pensiero sociologico e antropologico: la Gemeinschaft, e la Gesellschaft di Toennies (1887), la solidarietà meccanica ed organica di Durkheim (1902), la mentalità logica e prelogica di Lèvi-Brhul, le società calde e fredde di Lèvi-Strauss (1958). L'antropologia si specializzò così sul versante della comunità, fredda, meccanica e prelogica, possiamo anche aggiungere "senza scrittura" (Goody 1977). Mentre la città: organica, calda, logica e piena di "scritture", ricadeva per la sua complessità sotto la "divisione del lavoro" di molte discipline. Sociologia, storia, economia si contendevano tale onore.


Questa ripartizione di compiti nascondeva in realtà un' ideologia ben precisa:


« La sociologia è cresciuta in un clima d'opinione che ancora accetta implicitamente come un dato di fatto l'idea che la società 'moderna', 'industriale', di 'massa', 'complessa', è qualcosa di distinto, un entità a sé, un radicale distacco da tutte le altre forme esistenti sulla terra. Questo era innegabilmente il presupposto di Weber , Durkheim, Freud e Spencer e, in effetti, di molti antropologi, se non tutti gli antropologi del secolo XIX. » (Schneider 1961, cit. in Weaver and White 1972, trad. it.. in Pitto 1980:234).


La "società complessa", anzì la società per antonomasia venne identificata con il modello occidentale, industriale e capitalistico. Una molteplicità di scienze si contesero i suoi estesi campi di studio. L'antropologia, che come scienza dell'uomo in generale avrebbe potuto rivendicare anche la complessità della città, si specializzò per contrapposizione, nel campo del semplice e del primitivo, oscillando tra una visione "roussouiana" (primitivo come ultimo innocente) e "evoluzionista" (primitivo come infante dell'umanità).
Accantonate le suggestioni romantiche e caduti i paradigmi evoluzionistici, l'antropologia, nella sua fase "scientifica" venne influenzata in particolare dalla prospettiva funzionalista nelle versioni di Durkheim, Parsons e poi di Merton. Il paradigma funzionalista soprattutto attraverso la mediazione dell'opera di Radcliffe-Brown e Bronislaw Malinowsky dominò la ricerca antropologica fino al secondo dopoguerra. L'enfasi sul metodo dell'oservazione partecipante caldeggiata da Malinowsky si univa all'ispirazione funzionalista sfociando nel concetto di "olismo" :


« The development of the functionalist perspective, in which any society could be seen as integrated system of mutually interrelatated and functionally interdependent parts, provided both the theoretical underpinnnings and the analytic methodology for integrating such qualitative data into a “description of a 'human whole” » (Redfield Peattie e Robins, 1984: 85).


Il concetto di società che guidava questa impostazione era essenzialmente quello formulato da Radcliffe-Brown:


« Every custom and belief of a primitive society plays some determinate part in the social life of the community, just every organ of a living body plays some part in the general life of the organism. The mass of institutions, custom and beliefs forms a single whole or system that determines the life of the society, and the life of the society is not less real, or less subject to natural laws, than the life of an organism.» (Radcliffe-Brown 1922: 229-230).

La società viene concettualizzata in base alla metafora biologica dell'organismo vivente, quindi studiabile in se stesso e soggetto a leggi immutabili.
L'antropologo si dedicò così alla comprensione di piccole totalità, di comunità maneggiabili attraverso l'osservazione partecipante, un metodo questo che lo distingueva dal sociologo. Tale modello possedeva un' indubbia validità quando si studiavano comunità tradizionali relativamente isolate e di piccole dimensioni, in cui la possibilità di controllare il tutto poteva essere ben motivata. Tale possibilità si rivelava un' illusione quando ci si rivolgeva a società più complesse ed estese, in cui l'impostazione olistica distorceva una corretta visione della realtà. Lo studioso subiva quasi un effetto ottico, scambiando il "microcosmo" di un piccolo villaggio, con il "macrocosmo" dell'intera società.
E' la cosidetta "fase cinese" dell'antropologia sociale britannica :


« Scrive Malinowsky nella prefazione al libro di Fei su un villaggio cinese dello Yangtze 'Conoscendo da vicino un piccolo villaggio, studiamo al microscopio per così dire l'epitome della Cina intera. Radcliffe-Brown consegnò un analogo messaggio ad altri studiosi di problemi cinesi sul punto di dare inizio a una serie di studi sul campo in Cina » (cit. in Weaver and White, 1972, in Pitto 1980: 228-229).


Freedman definisce così questa posizione:


« l'equivoco antropologico per eccellenza'. Malinowsky e Radcliffe-Brown condivisero la convinzione che, nello studio della società complessa, lo studio della comunità potesse servire come un' approccio microcosmico al tutto " (ibid.).


I metodi dell'antropologia elaborati per società di piccole dimensioni trasportati in un insediamento "relativamente grande, denso di individui eterogenei", seguendo la definizione di Wirth (1938), come quello urbano, condussero a percorsi di ricerca come quello della scuola di Chicago e degli studi di comunità in genere. La città era concepita come un mosaico, i cui singoli pezzi potevano essere studiati separati dagli altri; è proprio nel riunire questi pezzi separati che la scuola di Chicago ha fallito (Hannerz 1980).


« La scuola di Chicago, che si era proposta di studiare la specificità della città moderna ci restituisce alla fine la mappa di una città medievale, caratterizzata proprio dalla visibilità e rigidità dei suoi confini interni e dalla perfetta coincidenza fra segni esterni e ragioni sociali » (Sobrero 1992).


Notiamo che lo stesso tipo di critica è stato rivolto da Marcus e Fisher per quanto riguarda i risultati dlle ricerche condotte nel solco del Seven Years Plan di Max Gluckman (cfr. par). Come dire che il tutto complesso non è l'insieme delle sue parti.
Le ricerche più riuscite della scuola di Chicago sono proprio le singole descrizioni , delle "aree naturali " e delle "moral regions" della metropoli americana .


3.2. Crisi dei paradigmi forti

Abbiamo già visto la critica di Leeds all'antropologia urbana come specializzazione: rimprovera ad essa di essere poco olistica e di concepire l'elemento urbano in termini troppo ristretti. Quello che Leeds critica fortemente è l'equazione microcosmo = macrocosmo, una critica che abbiamo ritovato nel saggio di Weaver And White quando discute della "fase cinese" dell'antropologia britannica:
« L'olismo antropologico si smarrisce quando cerca di cogliere una civiltà differenziata ed eterogenea servendosi della formula semplificata dello stile etnografico usato per le società di piccola scala » (Weaver e White 1972).
La crisi del paradigma funzionalista, non a caso, comincia a scricchiolare quando l'antropologia si trova ad interessarsi delle cosidette "società complesse"; una definizione che non implica necessariamente un riferimento alla nostra società . I Nuer sudanesi (1940) di Evans-Pritchard, i Kachin birmani di Leach (1954), le ricerche medio-orientali di Barth (1966) sono parte di un percorso che conduce al tramonto del paradigma funzionalista . In generale si verifica un mutamento, oltre che dell'oggetto anche d'interesse teoretico cheFabietti riassume in qwuesto modo:
« L'accentuazione dell'aspetto dinamico dell'interazione sociale finiva per spostare l'attenzione dalla norma all'azione, accentuando gli aspetti processuali del divenire piuttosto che quelli integrativi o statistici della struttura » (Fabietti 1991:262).
Jackson riassume in tre cicli principali il pensiero antropologico britannico, a partire da quello dominato dalla figura di Malinowsky (1925-1940) in cui:


« post-war structural functionalism that was quite content with its own ethnographic fieldwork(1945-1960): 2) a search for new theoretical inputs from other disciplines and typified by Epstein's The Craft of Social Anthropology (1967) which was published halfway through this period (1960-1975): 3) an introspective look at what anthropologists, themselves, are doing as a discipline in terms of theory and mhetodology (1975-1990 ?) » (Jackson 1985:9).


L'antropologia interpretativa americana è certamente uno degli esiti di quest'ultima fase riflessiva e introspettiva del pensiero antropologico . La crisi della rappresentazione sociale e il conseguente dibattito sulle modalità della scrittura etnografica sono i temi centrali di questa riflessione (Clifford e Marcus 1986).
Una crisi che investe tutte le scienze sociali e di cui troviamo un corrispettivo nel lavoro del sociologo francese Alain Touraine. La nuova situazione storica e sociale prodottasi dopo la seconda guerra mondiale, oltre che a trasformare il ruolo dell'antropologo, ha fatto crollare la fiducia nell'idea stessa della modernità :
« La modernità si è trasformata talvolta, innanzi tutto sul continente europeo , in barbarie. Con gli Ebrei dell'Europa occidentale, che forse più di chiunque altro si erano identificati con una concezione del progresso che consentiva loro un' assimilazione preservandone la specificità culturale, è bruciata ad Auschwitz l'idea stessa di progresso. Contemporaneamente morivano nei gulag le speranze ripose nella rivoluzione proletaria » (Alain Touraine 1988:28)

.
La sociologia come scienza non è estranea a tutto ciò, anzi :


« La sociologia si è costituita come ideologia della modernità....Il sistema sociale vi è stato configurato come l'effetto di un movimento che conduceva dalla tradizione alla modernità, dalle credenze alla ragione, dalla riproduzione alla produzione e per far ricorso alla formulazione più ambiziosa quella di F. Tonnies, dalla comunità alla società - il che identifica chiaramente la società con la modernità. A seconda delle circostanze gli attori vennero definiti agenti del progresso o viceversa ostacoli alla modernizzazione » (cit.:37).


L'emergere di una società post-moderna e postindustriale, in cui i confini tra noi e loro, tra tradizionale e moderno, tra classi dominate e dominanti sembrano affievolirsi rendendo il quadro estrameente complesso, la comprensione di questo ptesente diventa la sfida comune sia dell'antropologia che della sociologia .


3.3. Verso un nuovo paradigma
Date queste premesse la città è oggetto di un non facile contendere e la prospettiva di Leeds sembra quella vincente. La rivista Urban Anthropology nel 1984 ha significativamente aggiunto il sottotitolo: Studies of Cultural Systems and World Economic Development , ad indicare una maggiore attenzione al contesto economico e culturale in cui le città sono inserite .
Questo spostamento d'interesse è sottolineato anche da Goode:


« Lo studio della natura della società postindustriale diventa il paradigma dominante dell'antropologia urbana » (Goode 1989:78).


L'impostazione di Southall, che tanto ha contribuito alla fondazione di un' antropologia urbana , sembra essere in declino. Ad una città concepita come "istituzione" si sostituisce:


« Una nuova concezione della città come strutture in movimento con una complessa dinamica interna ed esterna che fa rivolgere la nostra attenzione verso i cambiamenti costanti, gli adattamenti, i conflitti e gli accomodamenti che si verificano durante la formazione e lo scioglimento di alleanze » (cit.:79-81).


Da questo punto di vista è possibile riconsiderare il rapporto macro-micro sotto una prospettiva diversa:


« Le cose su cui gli antropologi possono far luce sono i meccanismi attraverso cui le famiglie ed altre reti di relazione entrano in contatto, attraverso l'identità e la formazione di confini, con gruppi di interesse creati grazie a relazioni locali ed extralocali . Le distinzioni sociali della società post-industriale possono essere ulteriormente approfondite ...Le prese di posizione riguardo la carriera, la riproduzione il cambiamento di residenza la partecipazione ai vari movimenti non si possono considerare studi insensati di microcomunità ma passi decisivi nel chiarimento dei meccanismi attraverso i quali le strutture dei gruppi di interesse e dei 'movimenti dal basso' emergono in relazione al potere ..Una delle ragioni per cui continuiamo a deplorare l'antropologia urbana come antropologia della città è che tendiamo a categorizzare gli studi a seconda del livello d'analisi o della prossimità al terreno, piuttosto che in base all'impostazione. Superficialmente qualsiasi studio effettuato su famiglie o territori residenziali viene ritenuto di livello troppo "micro" » (ibidem).

Vincenzo Bitti

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Abstract
L'articolo ripercorre l'emergere della specializzazione dell'antropologia urbana con particolare riguardo all'ambito statunitense e britannico, cercando di dimostrare che l'affermarsi di questo settore di studi sia collegato oltre che ad importanti trasformazioni nel contesto storico-politico globale in cui l'antropologo si inserisce, anche a fondamentali mutamenti sul piano teoretico ed epistemologico che investono l'antropologia contemporanea e le scienze umane in genere.


 

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